Arturo Graf
Arturo Graf nacque ad Atene nel 1848 e nel 1876 giunse a Torino, insediandosi ben presto sulla cattedra che era stata negata a Francesco De Sanctis. Studioso poliglotta, fortemente convinto della centralità di una cultura europea, poeta e prosatore, fu autore di alcuni straordinari volumi sulla storia del pensiero medievale (Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo e Il diavolo) tutti volti a indagare «quanto il medio evo ha pensato, fantasticato, sognato». Altri secoli oggetto della sua indagine furono il Cinquecento (Attraverso il Cinquecento) e l’Ottocento con il discusso Foscolo, Manzoni, Leopardi.
Insieme al veneto Rodolfo Renier, (da lui fortemente voluto a Torino sulla cattedra di Letterature neolatine), e al lombardo Francesco Novati, fondò il «Giornale storico della letteratura italiana», ma abbandonò la rivista nel 1890, mano a mano che le sue posizioni si allontanavano dall’impianto positivista a cui era almeno originariamente ispirata. Al di là delle ovvie prese di posizione contro gli eccessi del lombrosianesimo, a cui la scuola storica era compattamente avversa, Graf avrebbe lentamente preso le distanze dal positivismo, prima mettendone in discussione il determinismo ereditario con un romanzo (Il riscatto 1900) e poi, sulla scorta del famoso intervento di Brunetière che decretava La bancarotta della scienza, individuandone le possibilità e i limiti.
Intanto, nel 1906, con un celebre articolo sulla «Nuova antologia» aveva dato voce alla convinzione che gli studi della scuola storica e quelli del giovane Croce, condotti in parallelo, avevano elaborato in quegli anni: il Seicento e il Barocco, sepolti dalla condanna desanctisiana, non solo meritavano di essere radicalmente rivalutati, ma si rivelavano strumento utile a comprendere alcuni dei fenomeni che si stavano verificando alla soglia del Novecento. Ateo convinto, era stato capace di sostenere fino in fondo Fogazzaro nella sua battaglia e aveva finito per esprimere i suoi dubbi e la sua speranza in una vita ultraterrena in un controverso documento, stroncato da Croce, Per una fede.
Ormai molto malato, nel cinquantenario dell’unità d’Italia scelse di scrivere L' anglomania e l'influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, «un libro in servigio della nostra storia civile, ed anche un po’ […] in servigio della nostra storia politica», che potesse servire a smorzare i fermenti nazionalistici ormai sempre più insistenti, indicando nell’Inghilterra uno dei fondamentali fattori che avevano permesso e favorito la nostra traballante unità.
Morì a Torino nella notte fra il 30 e 31 maggio 1913.